Con la Circolare 59 del 31 ottobre, l’Agenzia delle Entrate informa su alcuni argomenti che sono stati trattati nel tavolo tecnico che ha aperto con l’Agenzia per le Onlus.
Lasciateci dire un’ovvietà – tra le tante che riferiamo in questi post: è una buona notizia che le due maggiori centrali di “sapere” sul non profit dialoghino tra loro e trovino punti ed argomenti di contatto, e che detti punti e argomenti ci vengano comunicati con efficacia.
Dal punto di vista tecnico, diciamo che questa Circolare rappresenta un “ripassino”, un Bignami – utile e non solo nozionistico – che ripone al centro dell’attenzione delle tematiche di vitale importanza per le Onlus e per gli enti non profit in generale.
La Circolare potete scaricarla direttamente qui; per la cronaca, in essa si parla di:
1) Le strutture federative e l’autonomia delle componenti delocalizzate: criteri di orientamento nell’identificazione di tali organismi
2) La detenzione da parte di una ONLUS di una partecipazione di maggioranza o totalitaria in una società di capitali
3) La partecipazione di società commerciali ed enti pubblici nelle ONLUS
4) Perdita della qualifica di ONLUS e devoluzione di patrimonio: scissione tra patrimonio preesistente e cumulato in regime di qualifica ONLUS
5) Le retribuzioni e i compensi degli amministratori e dei lavoratori dipendenti delle ONLUS
6) Beneficenza e raccolta fondi: le modalità di raccolta dei fondi e le proporzioni tra costi e ricavi
7) Aiuti umanitari per collettività estere
Tra i tanti spunti di interesse segnalo come siano stati meglio definiti gli obblighi (da oggi più stringenti) di rendicontazione delle raccolte pubbliche di fondi; come andiamo a ripetere fino alla nausea, il fisco – detto che manca ancora una definizione di occasionalità di detti eventi – auspica comunque un successo economico delle stesse, tanto da prevedere “che i costi totali, sia amministrativi sia per l’attività di raccolta fondi, debbano essere contenuti entro limiti ragionevoli”.
Inoltre, invitando gli enti a raccogliere i fondi per eventi o progetti specifici, richiede che le somme vadano effettivamente a finanziare non tanto la struttura in generale, ma i progetti per i quali la pubblica fede è stata sollecitata.
Qui si potrebbero aggiungere molte considerazioni, anche in relazione alle criticità di un ragionamento che – seppur sottoscrivibile dai più – deve essere ponderato. Ad esempio, una grossa struttura che fa advocacy rispetto ad emergenze solidaristiche ha bisogno di autofinanziarsi per promuovere nuovi progetti, per incidere maggiormente nella realtà. Tutto sta nel non esagerare, nel non cercare fondi per finanziare soprattutto l’attività di … ricerca fondi. Tema delicato, ma non lo tocco io, lo riportano le due Agenzie.
Ci riserviamo di sviluppare – qui e altrove – questi temi; l’invito è di non far finta di nulla.
Molte delle asserzioni delle Agenzie le avevamo fatte nostre (magari immodestamente anticipandole) nei nostri colloqui con gli enti. Quante volte – rispetto alle organizzazioni che promuovono aiuti umanitari – abbiamo segnalato la necessità per l’ente italiano di ottenere i “dati identificativi di una accreditata istituzione che opera anche indirettamente nel paese estero destinatario dei fondi a cui siano stati preventivamente comunicati il piano e le modalità di erogazione dell’aiuto umanitario”.
Ci si accorge di invecchiare quando si inizia a dire “io l’avevo detto”; e non è consolatorio, forse è solo l’inizio di un leggero rincretinimento.
Carlo Mazzini