Sport dilettantistico come organismo geneticamente modificato

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Lo sport dilettantistico è stata una delle prime categorie di enti non profit ad essere oggetto di una legislazione dedicata con la legge 398/91. E fin dal principio il problema principale era quello permettere agli enti sportivi dilettantistici di crescere nella loro funzione sociale senza troppo preoccuparsi della commercialità di alcune modalità tipiche di raccolta fondi, segnatamente quelle derivanti da contratti di sponsorizzazione. Per ridurre il carico fiscale e gli adempimenti si è fissato un limite entro il quale è possibile esercitare un’opzione che permette una riduzione notevole di IVA e IRPEG (ora IRES). Il limite è stato via via innalzato (passando dai 100 milioni agli attuali 250.000 euro), il regime agevolativo è stato (in parte) ampliato a tutte le associazioni senza scopo di lucro e alle pro-loco, la contabilità è stata anch’essa semplificata. Primi – e finora unici nel non profit – gli enti sportivi sanno cosa vuol dire il termine “occasionale” in relazione alla raccolta pubblica di fondi (art 25, L 133/99). Per non parlare dei compensi agli sportivi, con un sistema neppure troppo complesso a scaglioni di reddito di esenzione e di parziale imposizione.

Infine, la finanziaria del 2003 (L 289/02) ci annuncia all’art 90 che alle associazioni sportive dilettantistiche non si applica il (vecchio) articolo 111-bis del TUIR (DPR 917/86), quello sulla perdita di qualifica di ente non commerciale.

Per arrivare ai giorni nostri con l’entrata in vigore (1.1.04) dell’articolo 2500-octies del codice civile che interessa tutti gli enti non profit (in particolare, credo, gli enti che promuovono lo sport dilettantistico) e che permette sostanzialmente la loro trasformazione in enti societari.

Questa cavalcata molto sintetica oltre che parziale nella legislazione dello sport dilettantistico è confusa di per sé (in più si è aggiunta la mia prosa non propriamente montanelliana), prova ne è che l’amministrazione finanziaria è dovuta intervenire più volte a precisarne, limitarne o ampliarne gli ambiti di applicazione.

In futuro, forse, potremo trovarci di fronte gruppi sportivi composti da società senza fini di lucro, associazioni, fondazioni; il tutto per ottimizzare dal punto di vista della governance e del risparmio fiscale attività sempre più partecipate a livello di pratica sportiva, ma, temo, sempre meno “partecipate” in termini di governo.

Tempi lontani quelli del glorioso Genoa Cricket and Football Club. Lontani, ahimè, anche nei fasti.

Carlo Mazzini

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