Oggi, ho il morale così a terra che a rivedere un sito e un certo tipo di comunicazione non posso più soprassedere.
Antefatto: mesi fa leggo un bel post su Vita (vedi qui) relativo alla rappresentazione che certi consulenti dell’imprenditoria sociale danno in merito al mondo non profit; peraltro anche sul Vita cartaceo di qualche tempo fa Riccardo Bonacina stigmatizzò l’accaduto.
Si parla di Make a Change: un’iniziativa lodevole, bella e forse anche appassionante di consulenza per aumentare le liaison tra profit e non profit.
Il problema è che questi geni della consulenza hanno evidentemente chiesto ad un DEFICIENTE di rappresentare questa liaison e i due mondi (profit e non profit) attraverso la sintesi di due persone, due “modelli”.
Eccoli qui.
Inutile chiedervi cosa ne pensate … qualsiasi persona di buon gusto e di media intelligenza avrebbe capito che
a. offendere il non profit presentandolo come un poveraccio che ha bisogno di gente con la cravatta per “crescere” non è il modo migliore per presentarsi al non profit (nè “in società”)
b. offendere le persone senza dimora (che ho assistito per una decina d’anni e so di chi si parla) rappresentandoli così (la famosa scelta di vita e minchiate varie) sottende un comportamento razzista, che amplifica lo stigma sociale che subiscono invece di ridurlo
c. se di provocazione si tratta (come è sperabile, nel senso che ci auguriamo che non abbiano realmente questa idea del non profit e delle persone senza dimora), allora
Considerato che la provocazione è “attiva” almeno da novembre scorso,
con serenità
con consapevolezza
pacatamente
vi dico
che non avete capito nulla, ma proprio nulla del non profit, delle persone che stanno male, delle persone che cercano – con tanti limiti – di aiutarle
e per questo
siete degli insensibili, nel senso che non “sentite” neppure la vergogna per una rappresentazione così becera ed inutilmente offensiva
siete degli irresponsabili, nel senso che non rispondete delle vostre azioni (perché una provocazione è tale se è ridotta nel tempo e poi se la si “spiega”, altrimenti è un’offesa gratuita)
siete dei poveracci, voi sì, perché avete bisogno del clamore e dell’offesa per fare business.
Ultima annotazione: mi sorprende e mi dispiace che tra i promotori dell’iniziativa ci siano persone che io conosco e stimo per le loro buone idee e i loro buoni propositi.
Evidentemente mi sono sbagliato anch’io nel giudicarli.
Carlo Mazzini
3 commenti
E’ difficile scalfire i cliché. Hai sentito lo scalpore positivo che ha suscitato il preside dell’istituto Tecnico Ferraris-Pancaldo di Savona che obbliga gli studenti ritardatari a scuola a prestare servizio volontario alla Caritas come ‘sanzione alternativa’?
Non trovi che anche questo sia becero ? malgrado l’indubbia buona intenzione, nonostante l’ammirevole ricerca di dare un senso sociale alla sanzione, alla base c’è un grosso equivoco: a qualcuno verrebbe mai in mente di dire ad un figlio ‘indisciplinato’: “adesso per punizione aiuterai la vecchietta ad attraversare la strada” oppure sempre “per punizione porterai una coperta al clochard che vive all’angolo” ?
A me non sembra affatto un buon modo di insegnare la solidarietà, anzi..
Le sanzioni alternative possono avere un senso, se si insegna al “reo” il modo di riconsiderare i propri errori. Una specie di liquido di contrasto. Hai fatto una cretinata ora ti faccio vedere che ci sono altri modi di vivere la socialità …
E’ difficilissimo saperlo dire, ma credo ci siano molti casi di successo.
Bisognerebbe provarci con cognizione di causa; deve essere veramente un lavoro difficile quello di assistere i bulli ecc nella “revisione” della propria capacità di stare insieme agli altri!
cm
Caro Dottor Mazzini, siamo sempre pronti ad accettare critiche ed osservazioni, soprattutto se portate da persone competenti e di esperienza. In effetti esiste una volontà di provocazione nella nostra strategia di comunicazione, ma non è quella da Lei sottolineata.
Vorrei pertanto cogliere il suo invito a spiegare meglio i nostri intenti.
Le due persone non rappresentano un operatore del profit contrapposto ad uno del non profit, sono semplicemente due simboli , due icone di due mondi (il business ed il disagio sociale) che sono fisicamente vicini, ma che non interagiscono. In particolare ciò che vogliamo segnalare in modo prioritario è come il mondo del profit sia indifferente, lontano e – a volte – anche spaventato dal disagio sociale, che qui è rappresentato da un clochard . Io non credo che lei abbia visionato il nostro trailer (è in home page da Novembre…) dal quale i due simboli sono stati presi per realizzare l’interfaccia web. Vedendolo avrebbe compreso immediatamente come il clochard non rappresentasse un operatore del non profit, ma semplicemente un….. clochard. Dal film appare evidente che è il “supermanager” ad essere insensibile , a non vedere la persona che c’è dietro il “senza tetto” . L’incontro con il clochard gli provoca prima un senso di fastidio e poi di paura ; non si aspetta che proprio da quella persona – che ritiene solo un peso per lui e per la società – possa invece svilupparsi una capacità, una opportunità di cambiare le cose. La provocazione è proprio per coloro che hanno vissuto una vita superficiale ed irresponsabile puntando tutto su carriera e denaro, senza preoccuparsi del contesto sociale in cui vivevano : è una sorta di “mea culpa” del profit. Si richiede di cambiare il sistema di valori, di assumersi una maggiore responsabilità verso le persone meno fortunate, di aprirsi ad una “nuova strada” , quella del social business. Si invita il profit a non considerare il capitale sempre e soltanto come un fine, ma anche come uno strumento per realizzare un cambiamento sociale.
Tale invito al cambiamento ci permettiamo inoltre di poterlo esprimere anche a chi – questa volta appartenente al settore non profit – rimane chiuso in se stesso, a chi ha difficoltà di mettersi in gioco, a chi , spesso per motivi ideologici, fa fatica a riconoscere le ragioni del capitale. Riteniamo che sia soprattutto il terzo settore l’ambito in cui ricercare gli imprenditori sociali del domani, coloro che avranno sviluppato modelli di solidarietà sostenibile,non dipendenti dalle donazioni. Ma per ottenere questo Lei, più di noi, sa che anche qui è necessario un cambiamento di prospettiva e di approccio operativo. Questo, almeno da parte nostra, senza pregiudizi e con assoluto rispetto di tutti.
Per concludere, le assicuro che molti nostri conoscenti operanti da tempo in importanti organizzazioni non profit hanno trovato il film – ed in generale la comunicazione web – assolutamente efficace e non offensiva. Ritengo che avessero però dedicato del tempo a visionare il sito (e soprattutto il filmato), prima di esprimere il loro giudizio.
Rimaniamo sempre interessati ad approfondire le Sue opinioni, anche di persona, qualora lo ritenesse di interesse e fosse disponibile.
Cordiali saluti .
Andrea Rapaccini (Segretario Generale Make A Change)
PS
Qualora, dopo questa mia, rimanesse della sua opinione negativa , la prego di non giudicare in base alla nostra comunicazione web coloro che conosce e stima tra i promotori di Make a Change e di considerare il sottoscritto come unico responsabile.