Andrea Rapaccini (Segretario Generale Make A Change) risponde così al mio articolo:
“Caro Dottor Mazzini, siamo sempre pronti ad accettare critiche ed osservazioni, soprattutto se portate da persone competenti e di esperienza. In effetti esiste una volontà di provocazione nella nostra strategia di comunicazione, ma non è quella da Lei sottolineata.
Vorrei pertanto cogliere il suo invito a spiegare meglio i nostri intenti.
Le due persone non rappresentano un operatore del profit contrapposto ad uno del non profit, sono semplicemente due simboli , due icone di due mondi (il business ed il disagio sociale) che sono fisicamente vicini, ma che non interagiscono. In particolare ciò che vogliamo segnalare in modo prioritario è come il mondo del profit sia indifferente, lontano e – a volte – anche spaventato dal disagio sociale, che qui è rappresentato da un clochard . Io non credo che lei abbia visionato il nostro trailer (è in home page da Novembre…) dal quale i due simboli sono stati presi per realizzare l’interfaccia web. Vedendolo avrebbe compreso immediatamente come il clochard non rappresentasse un operatore del non profit, ma semplicemente un….. clochard. Dal film appare evidente che è il “supermanager” ad essere insensibile , a non vedere la persona che c’è dietro il “senza tetto” . L’incontro con il clochard gli provoca prima un senso di fastidio e poi di paura ; non si aspetta che proprio da quella persona – che ritiene solo un peso per lui e per la società – possa invece svilupparsi una capacità, una opportunità di cambiare le cose. La provocazione è proprio per coloro che hanno vissuto una vita superficiale ed irresponsabile puntando tutto su carriera e denaro, senza preoccuparsi del contesto sociale in cui vivevano : è una sorta di “mea culpa” del profit. Si richiede di cambiare il sistema di valori, di assumersi una maggiore responsabilità verso le persone meno fortunate, di aprirsi ad una “nuova strada” , quella del social business. Si invita il profit a non considerare il capitale sempre e soltanto come un fine, ma anche come uno strumento per realizzare un cambiamento sociale.
Tale invito al cambiamento ci permettiamo inoltre di poterlo esprimere anche a chi – questa volta appartenente al settore non profit – rimane chiuso in se stesso, a chi ha difficoltà di mettersi in gioco, a chi , spesso per motivi ideologici, fa fatica a riconoscere le ragioni del capitale. Riteniamo che sia soprattutto il terzo settore l’ambito in cui ricercare gli imprenditori sociali del domani, coloro che avranno sviluppato modelli di solidarietà sostenibile,non dipendenti dalle donazioni. Ma per ottenere questo Lei, più di noi, sa che anche qui è necessario un cambiamento di prospettiva e di approccio operativo. Questo, almeno da parte nostra, senza pregiudizi e con assoluto rispetto di tutti.
Per concludere, le assicuro che molti nostri conoscenti operanti da tempo in importanti organizzazioni non profit hanno trovato il film – ed in generale la comunicazione web – assolutamente efficace e non offensiva. Ritengo che avessero però dedicato del tempo a visionare il sito (e soprattutto il filmato), prima di esprimere il loro giudizio.
Rimaniamo sempre interessati ad approfondire le Sue opinioni, anche di persona, qualora lo ritenesse di interesse e fosse disponibile.
Cordiali saluti .
Andrea Rapaccini (Segretario Generale Make A Change)
PS
Qualora, dopo questa mia, rimanesse della sua opinione negativa , la prego di non giudicare in base alla nostra comunicazione web coloro che conosce e stima tra i promotori di Make a Change e di considerare il sottoscritto come unico responsabile.”
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Gentile dott Rapaccini
le rispondo per punti:
1. innanzitutto la ringrazio per la pronta risposta, ampia e a suo modo esauriente.
2. In merito al video, l’avevo visto e commentato proprio poco prima di scrivere il mio post.
Per evitare di affondare troppo il coltello, avevo evitato di commentarlo (o, meglio, l’ho fatto solo su youtube); nel video non ho ravvisato alcun elemento positivo della vostra strategia di comunicazione. E’ un video che combatte un cliché con un altro cliché.
3. Se torniamo ai fatti, i fatti sono questi: ecco la sequenza.
Lei afferma che il clochard non è la rappresentazione del disagio sociale e non del non profit (per inciso, scrivete NON PROFIT e non NO PROFIT).
Riguardi la sequenza; vale ciò che c’è scritto. Entra in campo un fighettino e lo si associa al termine “profit”.
Entra una persona “male in arnese” e la si associa al termine NO PROFIT.
Aveste scritto “disagio sociale” …. Invece avete scritto NO PROFIT.
Paradossalmente è come se identificaste il disagio sociale con il non profit o il contrario.
Lo sapete meglio di me che così non è e mai può essere.
Il disagio sociale è uno stato di parte della società, il non profit è un’istituzione, un settore della società.
E’ un pò come confondere la medicina con la malattia che cerca di curare.
Se questo è il vostro pensiero, devo dire che allora vi è una logica nella vs presentazione web. Il problema è proprio nel vostro pensiero!
4. sul fatto che il non profit dovrebbe superare certe barriere ecc, come lei ha scritto, sono totalmente d’accordo e, ripeto ciò che le ho scritto, sono sicuro che la vostra iniziativa sia ottima, positiva e tifo per voi.
Avete un solo problema: comunicate veramente male!
Sinceramente
Carlo Mazzini
PS: se volete vedere una bella pubblicità sul non profit e sulla solidarietà guardate questo filmato di alcuni anni fa del Summit di Solidarietà. Contrapponeva l’idea di miracolo a quella di solidarietà
3 commenti
Illeterati, direi, delle seguenti materie:
– non profit
– sostegno sociale
– comunicazione
Ora mi chiedo: se questi sono consulenti, vogliono far crescere il non profit e – come dice lei, caro Mazzini – saranno certamente animati dai migliori sentimenti, cosa cavolo credono di insegnare se steccano alla prima?
Abbiamo nel non profit assoluto bisogno di gente in gamba come (speriamo) loro. Ma quel grammo di coscienza in più nel capire come ci si muove, come ci si esprime non lo vogliono mettere?
Ho notato che nella loro risposta nulla dicono dei senza dimora. Per loro basta l’immagine del clochard evidentemente. Cosa ne dicono le organizzazioni che aiutano i senza dimora?
Saluti
Piero
Grande Carlo, proprio così, il problema è nel pensiero di cui il brutto film è solo un’improbabile espressione
a me invece il filmato pare carino
il tipo profit è nervoso, diffidente ha paura, sembra temere il barbone che gli è alle spalle
il barbone si muove lentamente, è determinato, rende un servizio al profit, gli rende disponibile il biglietto del parcheggio, regala un sorriso
Il profit è stupito, incredulo: ha ricevuto qualcosa da qualcuno che pensava potesse chiedergli o portargli via qualcosa!
Fate un cambiamento nel vostro pensiero ma anche nel modo di guardare le cose; il filmato rivela una verità, seppur parziale, sull’opportunità, sulla possibilità del “fare assieme”, concretamente mostra che ” nessuno è così povero da nn aver nulla da dare e nessuno tanto ricco da nn aver nulla da ricevere!”