Lo scorso 20 dicembre è scaduto il termine entro il quale doveva essere inviato il questionario da parte degli enti non profit.
Chi non lo ha ancora consegnato (circa 1 su 4) deve farlo al più presto perché mamma ISTAT ha più volte detto che secondo la legge X e il decreto Y bisogna rispondere ecc … che ci sono sanzioni ecc … che al netto delle sanzioni comunque il fatto di sapere i numeri del non profit …
Tutto giusto e condivisibile, per carità, ma della debacle del censimento vogliamo parlarne?
Il fatto che rispondano 3 enti su 4 è un brutto segnale, o no?
E chi lo dà il brutto segnale? Il non profit o l’Istat?
Partiamo da una sicurezza; se mi lamento che il non profit non conta nulla e poi non faccio il mio dovere che consentirebbe al non profit di contare qualcosa (cioè farsi contare) allora siamo in pieno tafazzismo.
In merito all’ISTAT, credo che non possa dirsi estranea a questo insuccesso.
Il questionario era stato pensato male e scritto peggio.
In un mio articolo pubblicato sul Sole del 10 dicembre, avevo rilevato ad esempio che, in merito alla parte economica, mettere le attività commerciali e quelle decommercializzate sotto la stessa voce, in modo che poi non si riesca a separarle in fase di estrazione e analisi dei dati, sia stata un’operazione miope e controproducente.
Quando verranno fuori i dati si potrà dire da parte governativa che le non profit stanno troppo sul mercato, mentre il dato include i frutti donati in piazza ai donatori e le attività commerciali vere e proprie.
L’ISTAT dice: ci siamo avvalsi di stakeholder, di esperti (Forum e la “fu” Agenzia per il terzo settore).
Non è la prima volta che sia l’uno che l’altra hanno toppato “presumendo” di fare gli interessi del non profit, andando invece contro la logica e gli interessi comuni.
In merito alle incongruenze del questionario e delle FAQ dell’ISTAT o – peggio – delle risposte date dai loro “esperti” al desk, ci sarebbe da scrivere un trattato.
Io ho collaborato con i Centri di Servizio per la compilazione di una guida D&R che spero sia stata un po’ utile. L’Istat controllava le risposte alle domande; poi senza dire nulla copiava ed incollava nelle sue faq alcune delle ns D&R a) senza dircelo, b) senza citare il CSVnet.
Ultima perla. Anche le istituzioni pubbliche dovevano consegnare il questionario relativo la loro rilevazione entro il 20 di dicembre.
Ma il buon cuore dell’ISTAT ha prorogato al 31 gennaio il termine ultimo.
Perché le istituzioni pubbliche (che sono amministrate da persone pagate) possono godere della proroga e gli enti non profit – il più delle volte amministrati da volontari – no?
Carlo Mazzini
1 commento
Illustrissimo, tra l’altro mentre compilavo i questionari mi spingevo ad immaginare quali “pillole” sarebbero state prodotte dall’Istat per finire su qualche lancio di agenzia. Dei titoli quali “il terzo settore dà lavoro a xmila persone”, “il no profit si alimenta con le attività marginalmente commerciali più che in passato”, “i cittadini stranieri fanno volontariato”.
Ma, non mi sembra che l’Istat debba fare delle indagini statistiche se non sono applicabili per un miglioramento di qualsiasi genere.
Certo, conoscere il no profit aiuta il legislatore a migliorare le leggi di settore e a facilitare lo sviluppo.
Ma proprio in questo momento, con un governo tecnico alle prese con una crisi spaventosa, e la vicinanza alle urne, era il caso di impegnare risorse così ingenti per una indagine statistica? Sì, perchè non credo che l’operazione non abbia avuto costi, anzi credo che l’impegno per l’istat sia stato notevole.
Mi si potrà dire che comunque i dati sono disponibili. Ma a questo punto posso dubitare sulla loro attendibilità? Oltre alle problematiche di bilancio che hai evidenziato, mi permetto di evidenziare come la massa di dati richiesta fosse enorme. Come si poteva rispondere ad esempio sulle classi di ore impegnate dai volontari nell’attività? O in precedenza si era impiantato un sistema di rilevazione delle presenze o si andava per approssimazione. I titoli di studio, le classi di età? quelle si conoscono, ma bisognava elaborare i dati. E quindi un enorme lavoro per gente impegnata nel sociale che avrebbe preferito magari impiegare più utilmente il suo tempo.
Concludendo: non si potevano impiegare meglio i fondi in periodo di ristrettezze?
Scusate lo sfogo ed i migliori auguri per un migliore anno.
Si perchè non credo che