Ricevo da una cara amica, avvocato giuslavorista, la seguente nota relativa alle novità della legge Fornero (L 92/12): in particolare qui si parla dei rapporti di collaborazione autonoma con i titolari di partita IVA e dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di tipo parasubordinato, anche a progetto. Come noto le non profit fanno spesso uso (e abuso?) di queste forme contrattuali. Meglio darci un’occhiata, non credete?
Carlo Mazzini
Nota dell’Avv. Paola Salazar
Il Ministero del lavoro ha annunciato con una recente nota programmatica l’avvio, nel 2013, di una capillare attività di vigilanza orientata su diversi ambiti e, tra questi, sull’uso dei contratti di lavoro atipici o flessibili (in particolare associazioni in partecipazione, collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto, partite IVA, collaborazioni occasionali, contratti di lavoro intermittente, voucher, contratti part-time). Il Ministero precisa che “gli accertamenti saranno svolti specificamente nelle aree territoriali contraddistinte, negli ultimi anni, da un trend sempre crescente del ricorso a forme contrattuali flessibili, che spesso costituiscono una sorta di ‘alternativa’ all’occupazione di lavoratori totalmente in nero, mirata al contenimento dei costi aziendali, dissimulando, in realtà, veri e propri rapporti di lavoro subordinato”.
Risulta, pertanto, di fondamentale importanza la valutazione dei contratti di collaborazione in essere e la verifica in merito alla coerenza tra il modello contrattuale scelto e le necessità organizzative legate alla gestione di questa particolare tipologia contrattuale.
Senza voler svolgere valutazioni di merito sulla bontà o meno delle scelte legislative, va tuttavia considerato che l’uso a volte strumentale[1] delle collaborazioni a progetto e il “precariato” generato in questi anni da rapporti contrattuali nei quali il progetto era stato identificato in modo generico, ovvero era stato finalizzato a ricevere una prestazione assai simile a quella che poteva essere fornita da altri prestatori di lavoro inquadrati all’interno dell’organizzazione del datore di lavoro con contratto di lavoro subordinato, hanno indotto il legislatore ad adottare dei correttivi che, come si è potuto verificare in questi primi mesi di applicazione della riforma, sono particolarmente significativi e, risultando a volte di difficile interpretazione determinano, a parere di chi scrive, già in fase di elaborazione del contratto, una maggiore attenzione ad una serie di elementi quali:
a) La natura della prestazione richiesta al collaboratore e dedotta nel contratto, ai fini di una più precisa identificazione degli elementi qualificanti il progetto il quale, oltre a non poter consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente deve essere caratterizzato da un risultato specifico e non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi[2];
b) La determinazione del corrispettivo per il quale vengono richiamati i minimi previsti dalla contrattazione collettiva per il corrispondente settore di riferimento per mansioni equiparabili;
c) L’autonomia, da parte del collaboratore, a ricevere altri incarichi di contenuto analogo (che si traduce nell’assenza di vincoli di esclusiva a favore del committente);
d) Le modalità di gestione del rapporto di lavoro e il coordinamento con l’attività del committente;
e) Le modalità del recesso dal rapporto di lavoro da parte del committente;
f) Lo svolgimento dell’attività, da parte del collaboratore, con modalità tali da ricondurla all’attività svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa del committente.
In base ai medesimi principi ispiratori degli interventi in materia di collaborazioni coordinate e continuative, il rigore voluto dal legislatore in questa materia ha poi coinvolto anche i contratti di lavoro autonomo sottoscritti, ai sensi dell’art. 2222 e segg. c.c. con i titolari di partita IVA. Ciò ha comportato una importante compromissione degli ambiti di libera scelta, assolutamente lecita, di coloro che in questi anni hanno voluto regolare il proprio rapporto di lavoro in forma autonoma e non subordinata. La previsione di una presunzione – seppure relativa e che ammette la prova contraria da parte del committente – di riconduzione del rapporto di lavoro ad una collaborazione coordinata e continuativa (nuovo art. 69bis D.Lgs. n. 276/2003) e, conseguentemente il rischio di una riqualificazione del rapporto di lavoro autonomo nella forma della subordinazione – per assenza di progetto – determina, di fatto, anche in questo ambito, una particolare attenzione nella stesura del contratto e nella valutazione delle specifiche competenze professionali del lavoratore autonomo, al fine di evitare che per effetto della oggettiva assenza di un progetto e per le modalità di gestione del rapporto di lavoro, lo stesso possa essere ricondotto, di fatto, con un meccanismo di “doppia presunzione” ad un rapporto di lavoro subordinato.
La riforma impone quindi un ripensamento delle figure dei consulenti e dei collaboratori esterni alle organizzazioni e un’attenta valutazione dei presupposti per stipulare e, quindi, gestire correttamente tali tipologie di rapporti di lavoro. L’attenta valutazione della modulistica contrattuale e degli aspetti di gestione del rapporto di lavoro che le novità legislative hanno imposto a tutte le realtà organizzative costituiscono, pertanto, in questa fase di avvio dell’applicazione della riforma un presupposto indispensabile per ridurre il rischio di accertamento e di contenzioso in questa delicata materia.
paola (chiocciola) studiociampolini (punto) com
Studio Legale Ciampolini in Milano
[1] Cfr. sul punto i dati del Rapporto ISFOL 2012.
[2] Riprende a tal fine rilevanza, ai fini della identificazione dei compiti meramente esecutivi e ripetitivi l’elencazione delle attività in merito alle quali il Ministero del lavoro, con Circolare n. 4/2008 aveva ritenuto non consona l’attività di collaborazione a progetto perché l’attività consiste nel mettere a disposizione del Committente le proprie energie lavorative e il proprio tempo di lavoro. Tale elencazione è stata ora ripresa anche dalla Circolare del Ministero del lavoro n. 29/2012. Rientrano, esemplificativamente, in tale ipotesi le attività di:
- addetti alla distribuzione di bollette o consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici;
- addetti alle agenzie ippiche;
- addetti alle pulizie;
- autisti e autotrasportatori;
- baristi e camerieri;
- commessi e addetti alle vendite;
- custodi e portieri;
- estetisti e parrucchieri;
- facchini;
- istruttori di autoscuola;
- letturisti di contatori;
- magazzinieri;
- manutentori;
- muratori e qualifiche operaie dell’edilizia;
- piloti e assistenti di volo;
- prestatori di manodopera nel settore agricolo;
- addetti alle attività di segreteria e terminalisti;
- addetti alla somministrazione di cibi e bevande;
- prestazioni rese nell’ambito dei call center per i servizi di in bound.