Impresa sociale.
Il nuovo premier ne ha parlato mentre, ilare, proiettava slide sopra ad un muro di un nobile palazzo romano.
Alla Bocconi le hanno dedicato una mattinata, invitando a parlarne il “nuovo” che avanza come la Moratti, Bobba e la Melandri.
C’è tutto un fervore attorno all’Impresa Sociale, perché le aspettative sono davvero tante e siamo tutti qui a far segni apotropaici.
E’ credibile questa febbre da Impresa Sociale?
A mio avviso, sì e no.
Sì perché incontro continuamente gente che vorrebbe mettersi in gioco in attività che coniugano il business e tematiche sociali. A parte la mia esperienza, c’è davvero fervore attorno a questo che solo a prima vista potrebbe sembrare un ibrido tra il freddo mondo dell’azienda e il caldo mondo della solidarietà!
Quindi evviva la febbre.
Ma anche no, perché è febbre indotta da una lettura un po’ distorta della realtà.
Che le imprese debbano essere sociali – nei loro fini e nei loro mezzi – lo dissero persino i padri fondatori dell’economia moderna. Allargando lo sguardo, che la creazione di valore aggiunto non si debba fermare al solo dividendo è un’ovvietà fin troppo evidente. Guardate come l’industria automobilistica tedesca ha superato la crisi un decennio fa, con quale concertazione dei fini e dei mezzi tra le parti sociali e paragonatela con un’industria a caso dell’automobile in Italia, una che ha creato il deserto attorno a sé e dentro di sé, lasciando a noi le macerie e agli azionisti i soldi.
Quindi, benissimo, venga un mercato nuovo – che sia mercato davvero – per le imprese sociali, propriamente dette, quelle che operano in determinati ambiti.
Ma ricordiamo che
– le imprese “asociali” agiscono contro la comunità, e quindi la politica dovrebbe guardare anche in quella direzione, per rilevarne la dannosità
– le imprese sociali hanno bisogno di un mercato, e leggere sulla twitter-cronaca del convegno riportata da Vita che un assessore di Brescia dica che la competizione non crea efficienza, che la sua città sarà a “zero gare”, mi fa stare male: vedo e prevedo un prolungamento di consociativismo affaristico del business sociale
– le questioni legislative sono fondamentali e bisognava urlare nella sede della prestigiosa Bocconi – ma non credo che l’abbiano fatto – che l’attuale legge sulle imprese sociali (D Lgs 155/06) è una CAGATA PAZZESCA (qui e qui le ragioni). Non credo in effetti che qualcuno abbia avuto il coraggio di farlo, ma avrebbero dovuto farlo. Nè credo che abbiano fatto i nomi e i cognomi di chi allora l’ha scritta e l’ha spinta fino a farla promulgare.
Ricordo infine una regola aurea sui trend topica del non profit.
Parlare dell’impresa sociale a vanvera, affermando che porterà un sacco di lavoro, aprirà nuovi orizzonti (tutte cose che anch’io auspico ma me lo dico tra me e me) porta una sfiga pazzesca. Credeteci, è così!
Nella classifica degli argomenti che nel non profit portano sfiga l’impresa sociale è seconda soltanto alla sussidiarietà orizzontale, quella che avrebbe dovuto far diventare le non profit i primi attori del cambiamento sociale riconosciuti in questo dalla costituzione. La burocrazia si è fatta una crassa risata e ci ha trattato peggio che prima!
Quindi, moderazione! Perché mentre ai Bobba, alle Moratti e compagnia cantando si possono opporre argomenti, con la sfiga non c’è possibilità di passarla liscia!
Carlo Mazzini
2 commenti
io invece penso sia solo marketing anche perché da imprenditrice sociale in start up è un anno che cerco e NON trovo cooperazione e comprensione neppure tra gli imprenditori del sociale ergo!
Se da un lato mi dispiace per lei e per la sua iniziativa (ma vedrà che si rifarà), dall’altra ritengo per la discussione pubblica le testimonianze come la sua siano utili. Magari qualcuno si dà una regolata e la smette di prospettare sempre le magnifiche sorti e progressive dell’impresa sociale!
Oppure la sua è davvero un’idea che non si ritiene possa essere business oriented. Questo io non lo posso giudicare perché non so valutare il business degli altri. La ringrazio per l’amara testimonianza.
cm