Una delle novità contenute nel disegno di legge della manovra 2016 è quella relativa alle società benefit (o Benefit corporation) che (cito dal comma 198 del ddl) “nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse.”
Questa novità dovrebbe interessare – e non poco – i fundraiser: vedremo alla fine perchè.
Per saperne di più sulla società benefit, vi invito a leggere nell’ordine: – il ddl 3321 presentato a settembre da alcuni deputati; – un articolo su Vita di dicembre (a firma di Stefano Arduini, a pag 10); – un altro articolo sempre su Vita dell’avv Randazzo (stessa pagina).
Letto il testo, scorsi gli articoli, mi pongo le seguenti domande, certo di non essere l’unico.
– Ma le società in generale, i soggetti for profit non dovrebbero perseguire le stesse finalità? Voglio dire: dividono l’utile e devono operare per legge a favore degli stakeholder. Una società che fa bonifiche ambientali, una che opera nell’estrazione delle materie prime, un’altra che eroga energia da fonti rinnovabili, una scuola privata, un’altra che produce mobili, telefonini ecc, uno studio di consulenza. Tutti questi soggetti e altri ancora non dovrebbero seguire le leggi ambientali, le norme anti corruzione, le norme per la trasparenza ecc? Noi siamo abituati (grazie, Report, per le denunce!) a leggere di malversazioni, di fornitori non pagati, di truffe ai danni dello stato, di lavoratori sottopagati ecc. Ma queste non sono le pratiche consentite dalla legge, sono le ladrate di avventurieri privi di scrupolo.
– E l’impresa sociale? Non è che la società benefit farà le scarpe all’IS? Secondo me, sì. E qui si perpetua la diceria (mia) secondo la quale non so se l’Impresa Sociale porti ricchezza, socialità, responsabilità, ma di certo l’Impresa Sociale porta sfiga, soprattutto a se stessa. Capite bene che se non si danno alle IS e soprattutto ai suoi promotori delle ragioni economiche di vantaggio, i finanziatori delle future IS gireranno la prua verso le B-corp che consentono ai soci di dividersi gli utili e ottenere comunque il bollino di sostenibilità, responsabilità, trasparenza. Ditemi un po’: se voi foste un possibile finanziatore di una realtà for profit che realizza un’attività con risvolto sociale (quale non ne ha? vabbè, lasciamo perdere), preferireste formare una società che permette un ritorno economico agli azionisti (quindi anche a voi) o formarne un’altra che non consente questo ritorno?
– Quali le liaison con il non profit? Voglio dire: ma questi geni della legislazione, perché mai non si pensano di guardare indietro per poter evitare gli errori del passato? E’ evidente che se permetti ad un ente non profit di detenere (con vincoli, evitando i conflitti d’interesse ecc) quote in una società che permette ANCHE di dividere gli utili (e se lo permetti per legge l’Agenzia delle Entrate non eccepisce più nulla), risolvi una parte dei problemi di quegli enti che
a. ad oggi non possono fare direttamente attività commerciale se non limitatissima
b. non possono detenere quote significative in aziende for profit (se non in IS che – guarda caso – non servono ad un bel niente perché non “rendono” in termini di utili).
Se dovessi dare un consiglio – giustamente inascoltato – ai miei tanti amici fundraiser, suggerirei di intervenire nella legge (magari in un prossimo omnibus, ormai la legge di stabilità è già fatta), per esplicitare la possibilità di detenzione di queste società da parte di tutti gli enti senza scopo di lucro, incluse le Onlus.
Su, ragazzi, aguzzate la vista, drizzate le antenne, contattate chi di dovere.
Carlo Mazzini