La fretta improvvisa di votare la Riforma del Terzo Settore

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“Quanta fretta ma dove corri, dove vai?” A leggere le dichiarazioni di alcuni politici vicino al non profit tornano in mente le parole di Bennato. Sono tutti lì a spingere il governo a mettere la fiducia sul testo della riforma del Terzo Settore perché tanto “il testo è ampiamente condiviso”, come ha twittato Patriarca, il deputato “ma anche” presidente di Istituto della Donazione “ma anche” presidente del Centro Nazionale del Volontariato (non ho dimenticato nulla, vero? Ricorda un po’ il fantozziano “Pres., Grand Uff, Lup Mann …”).
Tanta fretta, davvero. Ma forse hanno ragione loro, è venuto il momento di quagliare, ormai il testo è assorbito – magari anche dal non profit – è conosciuto, condiviso davvero; se ne conoscono le prospettive future, a cosa si andrà incontro con i decreti legislativi che qualcuno asserisce essere già pronti.
Forse. Ma anche no, verrebbe da dire.
Su una cosa hanno ragione questi amanti post litteram del futurismo, che inneggiano alla velocità come valore a se stante; che è passato troppo tempo da quando Renzi annunciò la riforma, quasi due anni!
In due anni si riescono a fare tante cose se si vuole.
E qui sono invece riusciti a fare un passaggio alla commissione della Camera, uno all’Assemblea della Camera, uno – interminabile – alla commissione del Senato e ora vogliono fare in due o tre sedute il passaggio all’Aula del Senato. Per poi tornare alla Camera dove blinderebbero (come forse già al Senato) la legge col voto di fiducia.
Son soddisfazioni, eh?
Patriarca afferma nello stesso tweet che il testo è ampiamente condiviso e che quindi bisogna metterci la fiducia. Il che suona un po’ una contraddizione in termini. E’ come dire che lo sposo non vedeva l’ora di sposarsi tanto è vero che è stato portato a forza all’altare!

twtttt
Sul perché la Commissione del Senato ci abbia messo tanto tempo, do alcune interpretazioni. Succede che ci metti tanto tempo

– quando lavori tre giorni alla settimana (e non tutte le settimane)

– quando della materia non sai nulla

– quando, non sapendone nulla, non ti poni le domande giuste e quando autonomamente ti dai le risposte sbagliate

– quando metti come relatore un senatore che non ha concordato in precedenza la linea (del partito e del governo)

– quando chiami alle audizioni gente che bofonchia risposte e temi in un linguaggio incomprensibile (leggete quando volete farvi male i contributi delle diverse organizzazioni: qui)

– quando scegli una Commissione (Affari Costituzionali) che è incompetente in quanto ha altre attribuzioni. Leggete le attribuzioni della I Commissione dal sito del Senato: “La 1ª Commissione ha competenza per i progetti di legge di revisione della Costituzione e per le altre leggi costituzionali e, quanto alla legislazione ordinaria, per l’ordinamento generale della pubblica amministrazione e la disciplina generale del pubblico impiego. Su materie specifiche, la sua attività si riferisce ai settori normativi e di azione dell’amministrazione dell’interno (sicurezza pubblica, enti locali, immigrazione, affari di culto, servizi elettorali), mentre ha una competenza generale sulle regole dell’agire politico (leggi elettorali, statuto e finanziamento dei partiti, forme della comunicazione politica).”

– quando scegli una Commissione che deve togliere ben altre castagne dal fuoco (riforma della Costituzione) e che nel suo risicato tempo di lavoro deve discutere su temi più importanti.
Tutte queste ragioni del ritardo sono quindi da attribuirsi a chi ha messo su questi binari la riforma, leggasi PD e Governo guidato dal PD.
Che il PD e il suo Governo parlino di riforma condivisa dopo aver toppato grandemente a) coinvolgimento enti non profit, b) comprensibilità testo, c) tempi, ha un po’ dell’incredibile.
Ed infatti non vengono creduti!
La situazione pertanto è assai ingarbugliata, almeno in termini di senso.
Perché continuo a non capire il senso di un sacco di cose.
Tre esempi.

– IRI del Sociale. Io non so se sia un’idea buona oppure no. Manes ne parla da più di un anno fantasticando ottimi orizzonti per il non profit italiano. Ciò che dovrebbe seguire (da un anno) è il dibattito politico; dove? In Commissione. Ed invece solo alla penultima riunione della Commissione il Governo – con fare meschino – aggiunge l’emendamento che introduce la Fondazione Italia Sociale, facendo infuriare non solo l’opposizione ma anche lo stesso PD. Tanto che il Governo ritira l’emendamento e lo presenterà in questi giorni in Aula. Ma che senso ha dotare di uno o forse più milioni un ente privato costituito dalla mano pubblica, non voluto da nessuno?
– Fin dall’inizio (2 anni fa) l’ipotesi di costituire un’Authority indipendente che controllasse il non profit con le varie forze (magistratura, Ag Entrate, Guardia di Finanza …) non è piaciuta al Governo; Bobba, appena sentiva l’aggettivo “indipendente”, iniziava a dar segnali di intolleranza epidermica e arrivava a dire che il Ministero dell’Economia avrebbe bocciato una ipotesi di maggior costo. Purtroppo per lui, i fatti superano le sue opinioni, come ebbi a dimostrare in passato, quando provai che avere una Charity Commission italiana grande quanto quella inglese ci costerebbe meno dei tanti / troppi dipendenti pubblici che si interessano del non profit in tutta Italia senza alcun coordinamento e spesso senza saperne un bel niente! Quindi, nessun soldo per Authority (e il controllo rimane sotto il Min Lavoro che ha già dato chiara prova delle sue competenze – tono ironico!) e soldi per l’IRI del sociale.
– Ma che cosa cambia per il non profit con questa legge delega? Chi dice “aspettate i decreti legislativi e vedrete che figata” sta andando contro la costituzione. La responsabilità di ricevere dal Parlamento il potere di legiferare (art 76 Cost) è così grande che obbliga il legislatore (parlamento) a definire per filo e per segno le materie, le leggi da modificare, gli argomenti. In questa porcheria che chiamano legge delega c’è in abbondanza una sola materia: la fuffa. Non si capisce cosa cambia, e lo dico ad esempio per l’articolo 9, quello sul fisco. Lepri aveva proposto una tripartizione interessante sulla fiscalità di vantaggio per il non profit. Sapete come è andata a finire? Che lo stesso Lepri ha ritirato l’emendamento 9.3. Perché? Era la prima cosa sensata che leggevo da mesi.

Quindi, adesso, godiamoci la riforma “fretta e furia”, i toni trionfalistici (ma de che?) per aver portato a casa questa riforma, le dichiarazioni che ora va tutto bene, che il Terzo Settore è diventato il Primo, che è una riforma voluta dal basso, e che finalmente si può separare il grano dal loglio.
Care organizzazioni, vi siete fatte sentire, avete protestato pubblicamente? No.
Ora beccatevi tutto questo. Certo, non lo meritereste, ma prese tutte dalle mille paure di esporvi e apparire antigovernative, questo è ciò che portate a casa.
Carlo Mazzini

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