Ricevo una gentile email da una persona sul tema dell’impatto sociale da me affrontato qui. La pubblico in formato anonimo e rispondo.
Gentile Dottor Mazzini,
ho letto con estremo interesse il suo articolo sull’impatto dello scorso 28 ottobre.
Da tempo seguo il tema come Volontario XYZ; una focalizzazione come la Sua esprime con grande chiarezza un pensiero fortemente condiviso: nel corso di novembre vi sono stati tre convegni sul tema e discorrendo in pausa caffè con i Relatori ne è emersa una visione negativa sintetizzata da GHJ:”serve solo a fare convegni!”
Non condivido appieno tale visione negativa in quanto il concetto è di valore e ciò che è carente è l’applicazione troppo spesso deviante dai principi di base per una corretta valutazione.
Un esempio positivo fu la presentazione di un progetto della Fondazione ZVH di Torino con una valutazione controfattuale; in questo caso fu evidenziato il costo specifico di una tale attività.
Un altro esempio positivo fu presentato durante un corso sulla TOC (Teoria del cambiamento, ndr); le modalità del percorso mi portano a credere che sia questa una via per giungere ad una corretta valutazione.
Sono molto interessato ad un Suo gentile commento su questa mia ultima ipotesi.
La ringrazio sentitamente per i Suoi articoli e le Sue lezioni e Le porgo i più cordiali saluti
AA
Gentile dottor AA,
la ringrazio per il suo interessamento ai miei sproloqui.
Concordo con lei in tutto; sulla necessità di valutazione controfattuale, e sul fatto che la TOC possa essere un buon strumento di valutazione delle attività.
Vorrei introdurre un “ma” non avversativo, che però precisi la vera natura ed utilità di questi strumenti.
Impatto sociale, Bilancio sociale, TOC, SROI e compagnia bella. Aggiungiamoci il bilancio “normale” (d’esercizio) e la sua certificazione, lo statuto, l’organigramma, il controllo di gestione, le diverse ISO, il modello organizzativo 231 e il suo Codice Etico.
Sono tutti strumenti; ognuno con una propria funzione che però non esaurisce la funzione dell’ente non profit, cioè non porta a “perfetta sintesi” di ciò che è un ente non profit.
Se portati come “gonfaloni” del proprio ente si rischia che l’ente si riduca al gonfalone.
Alcuni di questi strumenti sono regolati dalla legge (statuto, 231, bilancio d’esercizio), altri da una prassi più o meno codificata.
Tutti restituiscono un’immagine, un’impressione dell’ente non profit.
La loro forza sta nel loro insieme, non nella singola funzione di ognuno di questi strumenti, funzione che si esaurisce nel “mandato” che questi strumenti assumono in sé.
Non si chiede ad uno statuto di rispondere alla domanda “l’ente è ben amministrato?”. Un bilancio anche certificato non risponde da solo alla domanda “l’ente ha tutte le caratteristiche per essere (ad esempio) onlus?”.
E così, Impatto sociale e TOC devono trovare la domanda alla quale rispondono e non possono essere portatrici di una “teoria del tutto”, cercata dai fisici in ben altro campo.
L’errore che io – e non solo io – segnalo da tempo è che le “mode” portano alcuni a sostenere (e altri abboccano) che certi strumenti siano da elevare a totem totalizzanti.
Non è sbagliato dal punto di vista etico o ideologico, ma sotto il profilo dei fatti.
Quando io collaboro a scrivere dei bilanci sociali ho ben presente sia la funzione di questo strumento sia i suoi limiti.
Il miglior modo per smerdare (scusi il francesismo) l’impatto sociale, la TOC e qualsiasi altro strumento è dar loro funzioni totalizzanti che non possono avere.
Se tutti avessimo l’onestà intellettuale di ammettere i confini degli strumenti che utilizziamo e che vendiamo, vivremmo tutti meglio e potremmo confrontarci – come fa lei – su come usarli in modo appropriato, senza ideologia, senza vendere pozioni magiche.
Come recita l’articolo 121 del Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, “E’ vietato il mestiere di ciarlatano”
Cordiali saluti
Carlo Mazzini