Fondazioni di partecipazione: quelle liberalità non riconosciute dal fisco

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Una recente risoluzione (255 del 17 luglio 2019 qui) esamina il caso di una fondazione di partecipazione avente natura commerciale ma senza scopo di lucro.

Non fatemi spiegare cosa sono le fondazioni di partecipazione … vabbè, massa di ignoranti! Le fondazioni di partecipazione sono quelle fondazioni che – pur rimanendo fondazioni – hanno diverse categorie di soggetti eroganti i quali, proprio in forza di dette erogazioni, possono sedere nei diversi organi di indirizzo o di gestione dell’ente. Se versi un fantastiliardo, puoi sedere per i prossimi dodici lustri (tu e i tuoi eredi! 😄)  nel consiglio di amministrazione e quando entri nella sede ti faranno camminare su un tappeto orlato d’oro. Se sei un poraccio, e versi 100 striminziti danari potrai essere chiamato – se si ricordano – alle riunioni dell’ultimo organo di indirizzo dove non si decide nulla ma dovrai comunque entrare in sede dalla porta di servizio camminando in ginocchio sul pavimento cosparso di puntine e sorbendoti le hit dei Modà per filodiffusione.

Il quesito posto dall’interpellante è se gli apporti versati dalle diverse categorie di fondatori siano detraibili (persone fisiche) o deducibili (aziende e altri soggetti IRES) in capo ai fondatori medesimi. Ad avviso dell’Agenzia delle entrate, il versamento delle somme non è qualificabile in termine di liberalità (e quindi non è detraibile o deducibile).

Detta così è un colpo al cuore.

E’ anche vero che bisogna leggere bene la risposta all’interpello, dove l’Agenzia, constatato che si tratta di una Fondazione con natura fiscale “commerciale”, applica l’art 88, comma 4 in relazione alla qualificazione delle entrate come sopravvenienze attive. Le sopravvenienze sono (Treccani economica) “In contabilità, ogni fatto imprevisto e fortuito estraneo alla gestione, che modifica in aumento (s. attive) o in diminuzione (s. passive) il patrimonio aziendale.”

Procediamo con grado

  • Se un’entrata è una sopravvenienza attiva, è tassata ai fini IRES
  • Se non si considera sopravvenienza attiva, non è tassata ai fini IRES (sempre che non sia un vero e proprio ricavo)
  • Sia l’interpellante che l’Agenzia ritengono che gli apporti dei fondatori rientrino nel caso dell’art 88, c 4 del TUIR che afferma “4. Non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle societa’ e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci, ne’ gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni”
  • L’Agenzia delle entrate afferma che si deve seguire il principio di simmetria fiscale, per il quale all’imponibilità in capo al percipiente corrisponde la deducibilità per l’erogante.
  • Partendo da questo principio, l’Agenzia delle entrate afferma che ove non sia tassata in capo alla Fondazione ai fini IRES (in quanto non sopravvenienza attiva), non può essere detratta o dedotta da persona o soggetto IRES / erogante

Non ritengo condivisibile quest’ultimo punto e la conseguente presa di posizione dell’Agenzia in quanto sia nell’art 15 TUIR (detrazioni per persone fisiche che erogano a , e in particolare comma 1, lett h) che l’art 100 (per aziende c 2, lett a) nella definizione del requisito soggettivo del percepente (nel nostro caso la Fondazione) non parlano della natura commerciale o meno dell’ente, ma citano una serie di soggetti tra i quali le fondazioni (nell’art 15) e le persone giuridiche (nell’art 100).

Nonostante l’interpretazione forzata dell’Agenzia le vostre Fondazioni di partecipazione – se non commerciali – dovrebbero stare serene (ok, porta sfiga …), in quanto comunque il ragionamento dell’Agenzia delle entrate interessa – e così l’interpello – le fondazioni di partecipazione aventi natura commerciale dato che il richiamato art 88 del TUIR, comma 4 fa riferimento ai soggetti dell’art 73, c 1 lett a) e b) che vuol dire enti (pubblici o privati) di natura commerciale.

Anche se … c’è sempre un “anche se”.

Dato che neanche l’estensore della risoluzione risultava convinto della sua conclusione ha aggiunto ciò che non è per nulla condivisibile e che può allarmare anche le fondazioni di partecipazione non commerciali.

L’Agenzia afferma (dopo aver richiamato il principio di simmetria fiscale ed aver sorvolato su artt 15 e 100 tuir) “Peraltro, la circostanza che, nella fattispecie in esame, i soci Partecipanti o Sostenitori, sebbene non possano partecipare all’Assemblea della Fondazione, acquisiscano il diritto a partecipare (per rappresentanza) a un suo organo consultivo, quale il “Consiglio di Indirizzo”, determina un trasferimento di utilità reciproche incompatibile con la qualificazione di tali versamenti in termini di liberalità”.

E qui cade l’asino, con rispetto parlando verso gli equidi.

Non si può pensare che la partecipazione ad un organo (più o meno rilevante) di una fondazione – peraltro partecipazione per rappresentanza – possa essere valutata come un qualcosa di diverso dalla liberalità; se non è liberalità quella! Io “donatore” – diamo il nome giusto alle persone:

  • non ho alcun ritorno diretto (vi sarebbe un rapporto di corrispettività);
  • l’utilità che ho come erogante (sedere in un consesso tra pari) non è certo confrontabile con l’utilità ricevuta dalla fondazione;
  • non ho alcuna possibilità di tornare in possesso di quella somma se uscissi dalla Fondazione;
  • non ho neppure la possibilità di sperare che quella somma frutti un qualche utile che mi venga minimamente erogato.

Per cortesia, mi si spieghi dove è l’utilità economica e la corrispettività per il donatore!

Carlo Mazzini

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