Rapporti con enti pubblici: ci vuole l’IVA?

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Uno degli aspetti meno pacifici nelle relazioni tra amministrazioni pubbliche ed enti non profit risiede nel trattamento IVA dei finanziamenti pubblici e un documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate (risposta 81/23) del 19 gennaio ci offre la possibilità di riepilogare i temi.

Non ho intenzione di ripercorrere tutto il caso presentato dall’interpellante; sappiate che si tratta di una società che gestisce interventi di manutenzione relativi alle dighe e agli acquedotti.

La domanda che la società presenta all’amministrazione finanziaria è se i finanziamenti che riceve a fondo perduto siano o meno soggetti ad IVA.

Non rileva quindi la parte delle imposte dirette e in parallelo, pensando ai nostri enti non commerciali e enti del terzo settore, non trattiamo la parte IRES.

Ciò che interessa a chi come noi frequenta non casualmente gli enti non commerciali è la definizione dei fattori indice, degli indizi, delle questioni che fanno cadere da una parte o dall’altra il pendolino della commercialità IVA (imponibilità) delle somme che riceviamo da enti pubblici.

Anche sulla scorta di questo documento di prassi e di uno precedente più volte citato dall’Agenzia, la Circolare 34/2013, suggeriamo alcuni consigli.

Come lo chiamiamo?

Così come l’abito non fa il monaco, il nome che trovate in cima all’accordo tra ente pubblico e ente non profit non basta per qualificare il tipo d’accordo. Quante volte abbiamo letto di convenzioni nelle quali era inserita l’IVA (TOT euro oltre IVA o TOT euro IVA inclusa)?

Suggerisco: chiaritevi con gli uffici pubblici che cosa state firmando

I preliminari sono importanti

Dove si faccia riferimento direttamente all’art 12 della L 241/90, al 5 per mille o a altre normative che palesano l’assenza di corrispettività, allora non siamo in presenza di una somma erogata per corrispettivo.

Suggerisco: i “Visto”, “Considerato che …” e compagnia bella che trovate all’inizio del vostro atto sono importanti. A quali leggi si riferiscono?

Per chi lo fai?

Un terzo fattore risiede nell’eventualità per la quale si parla di corrispettivo quando “l’amministrazione acquisisca la proprietà del bene o comunque si avvalga dei risultati derivanti dalla attività per la quale sono erogate le somme”.Qui entra in gioco la nuova pronuncia (Risposta 81/23) richiamando la Corte di giustizia UE la quale più volte ha affermato “che sussiste un rapporto giuridico sinallagmatico qualora ricorra un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto, cioè nel caso in cui le somme versate costituiscano l’effettivo corrispettivo di una prestazione individuabile, fornita nell’ambito di un rapporto giuridico caratterizzato da reciproche prestazioni”. Una cosa è se si devono pulire gli uffici del Comune, altro se il mandato è quello di far crescere la qualità del livello di vita delle zone verdi della città. Qui mi fermo perché altrimenti se si dice “faccio attività di potatura e giardinaggio” o “faccio apertura / chiusura dei giardini pubblici” c’è chi sostiene che sia attività non per corrispettivo e io non concordo.

Sempre dalla Risposta 81/23: “Qualora sia rinvenibile un rapporto di scambio per cui alla pubblica amministrazione derivi un vantaggio diretto ed esclusivo dal comportamento richiesto al privato, la fattispecie non può che essere inquadrata in uno schema contrattuale di carattere sinallagmatico caratterizzato dalla interdipendenza tra la prestazione e la controprestazione”. 

Suggerisco: siete meri fornitori di un servizio di utilità per il solo ente pubblico? L’IVA esiste!

A condizione di …

Nella Circolare 34 del 2013 l’Agenzia affermava che in presenza di clausole risolutive espresse si era di certo in presenza di contratti a prestazioni reciproche.Qui, anche se non lo ammette, corregge la precedente direzione e giustamente afferma che certe clausole che chiedono il rispetto di determinate condizioni (faccio io un esempio: se l’ente non assolve a quanto promesso come il fatto di far giocare almeno 2 volte la settimana i bambini della comunità, la convenzione salta) non sono da interpretare come elementi indice di commercialità ma come naturale vincolo “alle finalità predeterminate dalle relative norme di riferimento e dai connessi atti/ provvedimenti amministrativi, nonché alle modalità e ai tempi di attuazione degli interventi ivi indicati. Tali clausole, dunque, non possono essere assimilate tout court a meccanismi di ”reazione” all’inadempimento degli impegni assunti dalle parti, tipici degli schemi contrattuali sinallagmatici”.

Suggerisco: Le clausole sono importanti e devono rispecchiare la tipologia di rapporto che si instaura con l’amministrazione pubblica.


Siamo quindi arrivati alla chiarificazione totale globale sulla natura imponibile o meno delle somme corrisposte da enti pubblici?

Manco per idea.

Ma c’è un po’ più di chiarezza.

Carlo Mazzini

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