Lo scandalo Balocco Ferragni ha messo sotto i riflettori le raccolte effettuate da terzi per conto di enti non profit.
Per andare oltre e capire il funzionamento di questo tipo di raccolte bisogna esaminarne prima la meccanica, poi il profilo giuridico e infine le conseguenze fiscali.
Facciamo due esempi.
Un gruppo parrocchiale decide di sostenere un progetto di una nota ong. Lo fa online incassando sul proprio conto le somme e promettendo – oltre al trasferimento delle somme alla ONG – la deducibilità delle stesse, pur non avendo una titolarità che consente al donatore il risparmio fiscale.
La meccanica è chiara.
Dal punto di vista giuridico sarebbe necessario che ottenesse l’autorizzazione dalla ong per la raccolta in nome e per conto della stessa e dovrebbe farlo con accordo scritto (molto preferibile).
In questo modo si avrebbero due conseguenze.
La prima è che, indipendentemente dal profilo giuridico del gruppo parrocchiale, le somme risulterebbero per i donatori deducibili o detraibili.
La seconda è che – con le dovute cautele e i corretti meccanismi di privacy – i nominativi dei donatori sarebbero trattabili dall’ente, destinatario ultimo delle donazioni.
Altro esempio classico ma foriero di maggiori mal di testa è l’operazione di raccolta fondi realizzata con la GDO (grande distribuzione organizzata).
Il meccanismo è simile; l’accortezza deve essere ben maggiore in quanto, differentemente dal gruppo parrocchiale, la GDO è un soggetto con lecito fine di lucro e potrebbe perseguirlo anche con la campagna svolta a favore dell’ente.
E maggiore è la volontà della GDO di comparire e più ci allontaniamo dalla donazione pura o dall’intermediazione disinteressata.
Pertanto, il buon fundraiser sa che davanti a sè si presentano almeno 6 casi:
- Donazione non intermediata (quindi dell’azienda, senza intervento dei clienti) con comunicazione light al pubblico da parte dell’azienda
- Donazione non intermediata alla quale si aggiunge un invito ai clienti alla donazione intermediata oppure diretta (QR Code che atterra direttamente sulla pagina “dona ora” dell’ente)
- Donazione intermediata dalla GDO senza collegamento a prodotti o servizi
- Donazione comunque realizzata in occasione di raccolte pubbliche occasionali di fondi con prodotti dell’ente
- CRM (con collegamento a prodotti o servizi) e quindi attività di licensing
- Attività di loyalty
Vi sarebbero ulteriori sottocategorie e variabili qui non riportate, come ad esempio il numero di soggetti coinvolti (GDO e Ente non profit, oppure GDO, produttore e Ente non profit, oppure GDO, produttore, società di programmi loyalty e Ente non profit, ecc).
Si capisce che – come ho riportato all’inizio – prima cerco di capire la meccanica e su di essa mi chiedo:
- mi va bene dal punto di vista del ritorno economico atteso?
- ha dei profili di non chiarezza agli occhi del cliente o dei terzi?
Poi cerco di capire a quale schema contrattuale riferire la meccanica, tenendo conto
- della rilevanza economica (per noi e per la GDO),
- dello sforzo / investimento economico della GDO,
- della eventuale occasionalità dell’attività,
- della posizione del cliente: è solo cliente o anche donatore?
- degli obblighi delle parti,
- delle eventuali esclusive,
- del trattamento dei marchi / segni distintivi.
Quindi (e solo ora) misuro le conseguenze
- fiscali
- contabili
- amministrative
- di bilancio.
La morale di tutto ciò è che se qualcuno chiede un “modello di contratto” con azienda, magari specificando di licensing o di sponsorship, significa che non ha compreso che il problema non è il pezzo di carta, ma tutto il processo decisionale che porta a dire che abbiamo bisogno di un determinato schema di contratto.
Aggiungo: anche avessimo deciso con cognizione di causa di realizzare un’attività di licensing, cosa ce ne faremmo di un modello standard di contratto? Ci sono numerosi elementi variabili – che qui non vi riporto per non annoiarvi – che agiscono all’interno di un contratto di licensing e che devono essere trattati a seconda delle volontà delle parti e soprattutto ne devono essere comprese le conseguenze.
Un caso semplice: il mio ente dà l’esclusiva all’utilizzo del proprio marchio alla GDO ALFA. Come lo scrive? Cosa scrive? Di quale esclusiva si parla? Dell’attività specifica di comarketing, quindi riferendoci a quel prodotto o a quella classe di prodotti? Quanto è capiente quella classe di prodotti? Si parla di esclusiva sulla destinazione dei fondi, quindi di un progetto specifico? L’esclusiva è rispetto a chiunque o solo rispetto al segmento della GDO? Per quanto tempo?
Troppe domande per un solo post, me ne rendo conto.
Ma, ricordatevi, non esiste alcun “format di contratto” o modello che possa rispondere ai vostri dubbi.
Carlo Mazzini